Nei giorni scorsi Parigi ha rimpatriato un nuovo gruppo di donne francesi con figli che si erano unite all’Isis in Siria e Iraq ed erano detenute, da anni, in campi come al-Hol e Roj. Realtà, quella dei campi affidati ai Curdi dall’alleanza che ha sconfitto l’Isis, che secondo l’ONU e le organizzazioni umanitarie ha le sembianze di un girone infernale a cielo aperto. Come già per i loro “confratelli” maschi, le francesi costituivano il gruppo più numeroso tra le molte muhajirat (nel linguaggio dell’islam delle origini, rivisitato attivisticamente dal radicalismo di matrice islamista, “coloro che emigrano per fede”) occidentali. Almeno centoquaranta giovani donne hanno compiuto, a partire dal 2011, quella scelta: per condivisione ideologica, idealismo religioso, necessità di seguire la famiglia, spirito d’avventura, desiderio di sposare un combattente per la causa, avversità alla laicità francese che le costringeva allo svelamento nella sfera pubblica, in particolare a scuola, e alla politica estera di Parigi, ritenuta “antislamica”. Alcune sono partite con marito e figli; altre si sono unite in matrimonio con gli “sposi del jihad” assegnati loro al momento dell’ingresso nel territorio controllato dallo Stato islamico o conosciuti via web. Come prassi nell’Isis, che aveva una precisa politica familiare mirata all’allargamento della sua base di sostegno, quasi tutte hanno fatto figli o adottato quelli dei “combattenti” morti nel jihad.